Assium – Associazione Italiana Utility Manager

Esistono norme tecniche europee sull\’Utility Management?

Normative europee Utility Management UNI

La risposta è no, ma c’è un’apertura. «Le linee guida esistono già e il modello da esportare potrebbe essere la nostra UNI 11782:2020, ma occorre che gli attori coinvolti nel settore – Assium, le associazioni di categoria, i professionisti e le aziende – facciano massa critica, in quanto il processo normativo europeo è più complicato e lungo», ci spiega UNI

A livello italiano sappiamo che la figura dell’Utility Manager è riconosciuta e certificata, grazie alla pubblicazione della norma UNI 11782 avvenuta il 16 aprile 2020, che ne ha stabilito in modo ufficiale e regolamentato requisiti di conoscenza, abilità e competenze.

Assium, come Associazione, ne è stata parte proponente, partecipando attivamente al tavolo di lavoro che, dopo due anni di coordinamento, ha portato alla pubblicazione della norma, la quale ha qualificato per la prima volta l’esistenza di una figura professionale competente che agisce nel settore delle utilities. Una vera e propria rivoluzione nel settore [G1].

Ma a livello europeo com’è la situazione? Esiste una normativa che regolamenti la figura dell’Utility Manager? Ne abbiamo parlato in modo diffuso con Giacomo Riccio, Technical Project Manager di UNI – Ente Italiano di Normazione e segretario della Cabina di Regia UNI “Professioni”. «La risposta a queste domande è no, attualmente non c’è alcun progetto di norma attivo in tal senso. Ma si può fare».

E come si può procedere?
«A livello europeo esistono già delle norme, che possono marginalmente riguardare il settore, ma non hanno a che fare in modo preciso con l’Utility Management. Cito per esempio il JTC (Joint Technical Committee) 14 ‘Energy management and energy efficiency in the framework of energy transition’ (traduzione: “Energy Management ed efficienza energetica nell’ambito della transizione energetica”, ndr), o ancora il CEN/TC 428 ‘ICT Professionalism and Digital Competences’ (traduzione: “ICT competenze digitali e professionali”, ndr) sulle APNR di settore (Attività Professionali Non Regolamentate).

Esistono anche delle guide per la redazione della norma, come la CEN Guide 14:2010 (la cui elaborazione è stata coordinata da UNI), che fornisce le linee guida per elaborare norme sulle figure professionali sotto, o la Legge 4 del 2013, che rappresenta l’impianto legislativo di riferimento. Ecco, la nostra norma italiana può tranquillamente funzionare come modello da esportare a livello europeo, però bisogna fare attenzione alla valutazione di conformità».

Ovvero? Ci può spiegare meglio?
«Attualmente esistono modalità di valutazione di conformità di prima, seconda e terza parte. Quella di prima può consistere in un’autodichiarazione, ovvero il professionista si autodichiara conforme alla norma. Quella di seconda parte prevede un’attestazione che solitamente si colloca nel rapporto cliente- fornitore ma, mutatis mutandis, può applicarsi anche al rapporto associato-associazione (es. gli attestati Assium). Infine, per quella di terza parte, un organismo di certificazione (OdC) terzo e indipendente, rilascia una certificazione di conformità in relazione a una norma, preferibilmente se sotto accreditamento Accredia.

In Italia, la Legge 4/2013 cita esplicitamente la certificazione accreditata (art.9). Non vi è obbligo, ma il professionista, sulla base di un processo virtuoso, può rivolgersi a un’associazione professionale di categoria al fine di ottenere l’attestato associativo. Successivamente, il professionista, sempre su base volontaria, può rivolgersi a un organismo di certificazione per certificarsi in conformità alla norma sotto accreditamento.

A livello europeo, invece, vale il neutrality principle, ovvero il principio di neutralità: la norma non può esplicitamente indicare un percorso prevalente di valutazione della conformità, ma deve limitarsi a definire i requisiti applicabili, sarà poi il mercato a premiare una delle tre modalità di valutazione della
conformità».

Quindi, esistono i modelli, esistono le linee guida… Cosa dobbiamo fare a  livello europeo per regolamentare il settore dell’Utility Management? 
«Di fatto nulla, ma occorre che gli attori del settore – quindi Assium, le associazioni di categoria, i professionisti e le aziende che operano in quest’ambito – facciano massa critica e si adoperino per far sì che la norma sull’Utility Manager sia richiesta anche a livello europeo. Solo in presenza di un supporto trasversale a livello europeo, il sistema Italia potrà farsi carico di proporre “l’esportazione” della norma a livello CEN. L’iter è lungo, ma vale la pena cominciare».

[G1] Come spiegato in precedenza, il Ministero ha chiarito la questione relativa all\’uso del termine \”registro\”. Come UNI non possiamo dire che la norma è finalizzata a quello (come associazione sì).

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